EMILIO CECCHI
Firenze 1884 - Roma
1966; letterato e critico d'arte Ancora studente a Firenze, inizia a
occuparsi di critica d'arte e di letteratura
collaborando (dal 1908) a "La Voce".
Formatosi sotto l'influsso di Longhi, ma soprattutto di Bernard Berenson (di
cui traduce per "Valori
Plastici" i
Painters of Renaissance, 1928) Si trasferisce a
Roma nel 1910, iniziando la sua attività di
critico letterario e artistico. Nel 1919 è tra i
fondatori della "Ronda". Negli anni
Venti e Trenta collabora al "Marzocco",
"Dedalo", "L' Esame",
"Leonardo", " L'Italia
Letteraria".
Accanto alla sua vasta opera di saggista, critico
letterario, anglista, della sua attività di
critico d'arte ricordiamo Note d 'arte a
Villa Giulia (1912), Pittura italiana
dell'Ottocento (1926), Trecentisti
senesi (1928), Pietro Lorenzetti (1930),
Note alla II Quadriennale (1935), Giotto
(1937), Donatello (1942), Scultura
fiorentina del Quattrocento (1956), i cui
titoli sono indicativi delle sue predilezioni di
gusto. Esemplare della "prosa
darte" tipicamente rondista è la
raccolta Pesci rossi (1920).
Sostenitore di una discendenza della pittura
moderna dagli impressionisti e dai macchiaioli,
è tra i primi e più convinti estimatori di
Armando Spadini, al
quale dedica una monografia nel 1927. Apprezza
anche il lavoro di Mafai, presentando nel 1937 la sua personale
alla "Cometa" . All'opposto, critica
ferocemente i cosiddetti "neoclassici",
in occasione della loro presenza alle Biennali
romane del 1923 e '25."Quanto al
gruppo neoclassico /.../ occorre dir
subito che nulla gli manca come la fisionomia, e
la sciamo, la consistenza dun gruppo.
E la sua fortuna; forse la sua unica
fortuna. Un poco più stretta tra le guide e i
serrafile, questa giovane comitiva, che, nel
lindore delluniforme, bottoni raggianti,
cammina ciondolona e disordinata come i
convittori fuori porta".
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