Autore: Alberto Ziveri
Titolo:
Giuditta e Oloferne, 1943
Dimensioni:
cm 189x183
Tecnica:
olio su tela
Collezione:
Roma, Collezione
Natale

" La prima volta che vidi la pittura di Ziveri fu in una quadriennale degli anni di guerra, durante una visita organizzata dalla scuola. Sbandato, capitai di fronte ad una Giuditta e Oloferne, tela che ricordo vasta e tenebrosa, e come strinata dal fumo delle candele. Di Oloferne non saprei dire, ma la Giuditta scosciata mi colpì subito come immagine viva, aldilà della pittura perché nella pittura, e da me, ragazzo di borgata, interamente riconoscibile. Aveva odori e sudori familiari e desiderati, e peso nel ventre, e prepotenza e ritrosia plebee. "È sconcio", disse il professore. E a ripensarci non aveva tutti i torti: solo che quella sconcezza era la forza eversiva della verità. E io cbe non avevo mai pensato alla pittura come a qualcosa di diverso da Beltrame o Walter Molino, l'avevo finalmente incontrata in una forma clamorosa e ambigua, nel momento della salute e del Mistero: quando affonda gloriosamente nella materia del mondo, e materia più non è; e ogni cosa che rappresenta è se stessa e insieme (o dunque) il suo contrario: il peso è leggerezza, l'afrore è profumo, lo scurrile è luce danzante, il dialetto è lingua universale, la vita è costante processo di morte."

Renzo Vespignani